Page images
PDF
EPUB

cantastorie dei tempi di mezzo fecero una disadatta mistione delle lor fole particolari colle reminiscenze della classica poesia, per decorarne i giganti, cui essi avevano tolto dalla Sacra Scrittura.

3o La classica letteratura era stata stranamente corrotta, ed era nel fatto pochissimo conosciuta. Questo stato di cose durò fino all'età del Petrarca. Erra chi crede che Dante conoscesse Omero: innanzi al suo tempo gli Italiani citarono spesso un compendio latino dell' Iliade attribuito a un tal Pindaro poeta tebano. Quarant' anni dopo la morte di Dante, nè prima d'allora, Omero venne tradotto dall'originale per opera di Leonzio, dotto calabrese, sollecitatovi dal Boccaccio; e il Petrarca, che nemmeno egli sapeva di greco, faceva istanza all'autore delle Novelle perchè affrettasse la fine di quell' impresa. Erra parimente chi crede che Dante alluda ad Omero nei versi che seguono :

Di quel signor de l'altissimo canto

Che sovra gli altri com' aquila vola.
Inferno, c. IV, vers. 95-6.

Se questi versi si leggano attentamente, si confrontino col contesto, e non si badi ai comentatori, apparirà chiaro che le lodi di Dante si debbono solo applicare a Virgilio.1 Dante fece uso di alcune parole d'origine greca da lui trovate ne' poeti latini. E quando i comentatori citano quelle parole per prova del suo sapere di greco, fanno tutto ciò che possono per trarre altri in errore, poichè si raccoglie il contrario dalla medesima sua confessione, là dove, allegando un passo di Aristotile nel Convito, ne riconosce la difficoltà perchè,

» com'ei dice, la sua sentenza non si trova cotale nell' una

Lasciando intatta la questione se Dante sapesse o no di greco, crediamo peraltro assai difficile il convincersi che nei soprallegati versi parlisi di Virgilio e non di Omero. [Gli Edd.]

[ocr errors]

1

2

traslazione, come nell' altra. » E in uno de' suoi canti egli afferma in parole non dubbie che nulla affatto conosce di lingua greca. Ciò ch' egli tocca della guerra troiana, riguarda eventi di cui non parla l'Iliade; e la storia di Ulisse, nel ventesimo dell' Inferno, interamente si parte da quella che è contenuta nella Odissea. Dante giovossi della materia trovata in Virgilio; ricorse anche alle apocrife tradizioni di Guido dalle Colonne, che servirono pure di testo al Chaucer ed a Shakespeare.

E su questo proposito giova aggiungere che i comenta. tori di Shakespeare non furono più fortunati dei loro confratelli illustratori di Dante. Il Dryden sostenne che una traduzione italiana di Guido dalle Colonne, scritta da un Lollio, leggevasi in Inghilterra nel secolo decimosesto: il signor Stevens si oppone al Dryden e in aria di trionfo ci assicura che un Lollio fu istoriografo del ducato di Urbino. Ma se non cadiamo in errore, non fuvvi mai alcuno storico italiano di questo nome; e può nascere quasi sospetto che il signor Stevens abbia confuso il Lollio del secolo decimosesto con Lollio Urbico istorico dell'imperatore Severo. Quanto alla opinione del Dryden, essa non è sostenuta da prove, nè può con prove essere contraddetta; ma possiamo accertare che un manoscritto della storia di Guido trovavasi in Inghilterra mezzo secolo prima che il Chau

4 Cap. XV del Tratt. II.

* Qui il testo inglese ha: in one of his songs, colle quali parole non so se l'autore del Discorso abbia voluto alludere alle liriche di Dante, dove non mi soccorre ch' egli abbia fatto verun cenno esplicito di non conoscere il greco, o se non piuttosto al canto XXVI dell'Inferno (vers. 73 e seg.) in cui Virgilio gli dice:

Lascia parlare a me: ch' io ho concetto
Ciò che tu vuoi; ch' e' sarebbero schivi,
Perch' ei fur Greci, forse del tuo detto.

Al che fanno riscontro le altre parole nel canto seguente, vers. 33:
Parla tu, questi è Latino. [T.]

cer fiorisse. Conservasi, o piuttosto si conservava, negli archivi della cattedrale di York, e finiva con queste parole: Factum est præsens opus dominicæ incarnationis 1287. Il qual colofone può credersi aggiunto alla copia: certo l'originale era compiuto almeno quindici anni prima, perch'è dedicato ad un arcivescovo di Salerno che morì nel 1272. Se non c'inganna Giovanni Bonston, contemporaneo del Chaucer, Eduardo I conobbe Guido a Messina tornando di Térra Santa; e, avendo preso a stimare l'ingegno di quel poeta, lo condusse seco in Inghilterra, dov' egli potè concedere che fosse fatta una copia della sua storia. Preghiamo gli antiquari fervidamente (poichè solo per gratificare a costoro noi siamo entrati in queste minuzie) che veggano se il manoscritto possa trovarsi nella libreria della cattedrale suddetta. I nostri lettori, che sanno quanto facilmente gli storici ed i viaggiatori moderni ottengano credito di veridici, non si dovranno meravigliare se la impostura di Guido fece fortuna in una età meno colta. Egli disse che Omero (cui certamente non aveva letto) era un solenne bugiardo, che la vera storia della guerra troiana era stata scritta da Darete Frigio (segretario di Ettore), e da Ditti Cretese (aiutante di campo d' Idomeneo), entrambi testimoni oculari. Cornelio, nipote di Sallustio lo storico (Guido prendeva Nipote per nome di parentela), tradusse Ditti e Darete in latino; ed egli, Guido, avendovi aggiunto molti particolari fin allora non conosciuti, presenta al mondo la genuina ed autentica storia di Troja.

I cristiani d'Italia e di Grecia si odiavano cordialmente tra loro al tempo delle Crociate. Tale antipatia può aver mosso Guido a vestire la divisa troiana, poichè egli calunnia gli eroi dell' età di Agamennone, ed è liberale di lodi al buon Priamo ed a tutta la sua reale famiglia. La religione si mesce a tutte le finzioni dei primi tempi nel modo stesso che ai romanzi di data più tarda. Nel Boiardo e nell' Ariosto ci viene detto che Ruggiero discende in linea diretta da Costantino, ed Et

tore è fatto stipite della schiatta onde nacque il primo imperatore cristiano. Rispettando le opere attribuite a Darete, a Ditti e agli altri autori di questo genere, noi non crediamo che siano imposture fratesche; ma piuttosto teniamo che i frati abbiano solamente imitato i romanzi che apparvero nel basso impero, e che furono scritti per lusingare la vanità dei discendenti di Costantino. La discussione di questo punto volentieri l'abbandoniamo agli antiquari; e a noi basterà indicare quel tanto della classica letteratura ch' entrò nei racconti dei cantastorie.

La credenza negl' incantesimi, di cui abbiamo già detto nel secondo paragrafo, s'accordava colla letteratura e coi costumi pagani. Nè è da dire che questo errore fosse mantenuto vivo soltanto dai libri, poichè la stessa natura umana pare che sempre desideri la relazione con enti soprannaturali. Alla moltitudine piacciono le dottrine e le opinioni inspiratrici di terrore; e l'ignoranza le nutre e le accresce. La Tempesta ricorda le magiche opere di Medea; e Shakespeare, senza consultare le Metamorfosi, si è forse giovato delle tradizioni volgari; che se le avesse desunte dai classici direttamente, i suoi uditori non sarebbero stati propensi a prestargli fede. È vero che nella poesia romanzesca i nomi e le circostanze si sono mutate, e ignoriamo onde venga la voce Fata; ma se poniamo a confronto le trasformazioni di Proteo e di Vertunno, e il palazzo di Teti e l'isola di Calipso coi giardini di Falerina, d' Alcina e d' Armida, non sapremo scoprirvi veruna differenza essenziale. Negli amori dell' Aurora e di Cefalo vediamo l'origine delle idee che avevano intorno alla Fata Morgana gli abitanti di Messina e di Reggio, poichè supponevano che la Fata, per far cosa gradita al giovine amante, destasse il ben noto fenomeno aereo che mirasi nella state sopra lo stretto che parte l'Italia dalla Sicilia. Il contadino delle Isole Jonie non s'avventura di uscire dalla capanna sul mezzodì durante il mese di luglio, poich' egli

teme di certe fate cui dice Aneraide, cioè Nereidi.1 Queste fanciulle del mare, in compagnia dell'altre ninfe sorelle, esercitano sopra l'uomo lo stesso potere dei silfi de' Cabalisti.

4° I cantastorie del popolo trovarono un' altra sorgente di fole nei costumi dei Normanni e dei Saraceni, e generalmente nella cavalleria feudale. Discordiamo dall' opinione dei più, che fossero derivate in gran parte direttamente dagli Arabi, o dai crociati che tornavano in Europa. Le avventure di Antara provano che gli Arabi avevano idee dell' amore e della religione più assai metafisiche dei cantastorie italiani oltre di che niuna tradizione, circa alle Crociate, fu da questi trasmessa ai poeti romanzeschi, che non alludesse alle guerre sante e noi riferiamo la influenza dei costumi orientali e della occidentale cavalleria ad un periodo più antico, durante il quale i Lombardi, i Greci ed i Saraceni si disputarono il dominio delle diverse provincie del Regno di Napoli, che fini coll'anno 1130, quando essi furono tutti cacciati dai Normanni. Da queste guerre, e dalle rivoluzioni delle genti che vi ebbero parte, originarono tutte quelle figure di cavalieri asiatici ed europei che appariscono nei romanzi. I crociati ebbero maggiori occasioni di far conoscenza coi Maomettani; e no

Allo Zante si cantano questi versi :

Ξύπνα τοῦ Έρωτος παιδί, τοῦ Χάρου συντεκνάρι,
Τῆς ̓Ανεράιδας γέννημα, ποῦ μὲ ἔβαλες 'ς τόν ᾄδη.
Destati dell' Amore figliuola, della Morte figlioccia,
Della Nereide stirpe che mi mettesti in Averno.

Ξύπνα τοῦ Ερωτος παιδί, τῆς ̓Ανεράΐδας γέννα.
Svegliati dell' Amore figliuola, della Nereide rampollo.

Οταν 'νδυθῆς καὶ στολισθῆς, κόρη, τὴν κυριακήν σοῦ,
Σαν ̓Ανεράϊδα φαίνεσαι.

Quando ti vesti ed abbigli, fanciulla, la domenica,
Quasi Nereide sembri.

Vedi la Raccolta de' Canti popolari greci pubblicata in Venezia coi torchi di Girolamo Tasso. [T.]

« EelmineJätka »