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Che a quefte piante intorno errando io giva?
Ti portò forfe i caldi miei fofpiri

Zeffiro meffaggiero ?

Zappt.

Sil, Nò; mà il diffe al mio core il mio penfiero.

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Quando non fo

Dov' il mio ben andò,
Offervo dove i fiori
Hanno più bei colori,
E là m'invio,

E dove più gioconde
Scherzano l'aure e l'onde,
Lieta queft’ alma và;
Che dico: ivi farà
L'Idolo mio.

Dal. Andiam, Silvia gentile,
Ch' al fonte degli allori

Si fon sfidate al canto Aglaura e Clori,
Sil. Son teco. Dal. E tu, Melampo,
Lafcia un pò star quell' agnelletto in pace.
Che sì, ch' io prenda un Ramo?

Dal. Andiamo al Fonte degli Allori. Sil. Andiamo.
Dalle magion ftellanti

Non vede il Sol, nè vide

Alme più fide, e più fedeli Amanti.

Dal. Mi brilla il core in petto...

Sil. L'alma mi ride in feno.
à 2. Dolce mio caro amor.
Dal. Qual è l'alma che ride,

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Voi mi gradite men, perchè in fembiante

Pallido mi vedete?

Ah, fe non lo fapete,

Questo è il color d'ogni più fido amante.
Questo è il color, che Amore

Di fua man tinge, è segna;

Ne vanno i fuoi Guerrier fott' altra Insegna.
Benchè fia pallidetta

La vaga violetta,

Non è, che non fia bella;

La coglie dal terren,
E fe la pone in fen

La Paftorella.

Benchè non fia vermiglio
Il candidetto Giglio,
Vè chi le n'innamora:
Lo coglie ful mattin
La vaga Aurora.

Meta

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Metasta f i o.

6. B. 1. S. 257. B. V. S. 37. - Von diesem für die musikalische Poesie höchst musterhaften und klassischen Dichter gehören zuvdrderst seine acht vortrefflichen Orator rien hieher, unter welchen die hier mitgetheilte Passion, wegen ihrer so würdigen, einfachen und rührenden, Behand lung, eins der schönsten ist. Sie war die erste Arbeit des Dichters im Dienste Kaisers Karls VI, wurde von ihm im J. 1730 zu Rom verfertigt, und zu Wien, nach Caldara's Komposition aufgeführt. Wie bekannt, ist sie in der Folge mehrmals, am glücklichsten von Jommelli und unserm Reis chardt, in Musik-gesezt. - Ausserdem stehen siebzehn Rantaten im siebenten Bande der Türiner Ausgabe seiner Werke. Auch in dem, erst nach seinem Tode herausgekom. menen eilften Bande derselben befinden sich mehrere, hieher gehörige Stücke, unter andern zwölf kleinere Kantaten, die schon 1735, ohne seinen Namen, zu London, mit der Musik von Porpora, zuerst erschienen, die der Dichter aber in die von ihm selbst besorgte Sammlung seiner Poesieen nicht mit aufnahm. Das musikalische Gedicht, L'Ape, welches ich hier mittheile, schrieb er in Wien, 1769 für den spanischen Hof. Die Kantate, L'Armonica, wurde von ihm im Jahr 1769 auf Befehl des kaiserlichen Hofes verfertigt, und zu Schönbrunn, nach Hassens Musik, von der Sängerinn, Căs cilia Davis, gesungen, die von ihrer Schwester, einer vorz trefflichen Spielerin auf der damals noch neuen, und, wie bekanut, von Dr. Franklin erfundenen, Harmonika begleis tet wurde. Gelegenheit dazu gab die Vermählung des Ins fanten Herzogs von Parma, Don Ferdinand von Bourbon, mit der Erzherzogin Maria Amalia von Oestreich. - Das kleine Singeßtück, L'Aurora, wurde schon im J. fertigt, und von Wagenfeil für die Erzherzoginine von Oeftreich, nachherigen Herzogin von Sachsen-Teschen, in Musik gesezt.

ver:

C

Metastasio.

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GIOVANNI, GIUSEPPE D'ARIMATIA.

CORO de' Seguaci di Gefù.

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Dove fon? Dove corro?

Chi regge i paffi miei? Dopo il mio fallo
Non ritrovo più pace,

Fuggo gli fguardi altrui, vorrei celarmi
Fino a me stesso. In mille affetti ondeggia
La confufa alma mia. Sento i rimorfi;
Afcolto la pietade; a' miei defiri

Sprone è la fpeme, e la dubbiezza inciampo;
Di tema agghiaccio, e di vergogna avvampo.
Ogni augelio, che ascolto,

Accufator dell' incoftanza mia

L'augel nunzio del dì parmi, che fia.
Ingratiffimo Pietro!

Chi fa, fe vive il tuo Signore? A cafo
Gli ordini fuoi non fovvertì natura.
Perchè langue, e fi ofcura

Fra le tenebre il Sole? A chè la terra
Infida ai paffi altrui trema, e vien meno,
E le rupi infenfate aprono il feno?

Ah che gelar mi fento!

Nulla fo, bramo affai, tutto pavento.

Giacchè

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PIETRO, e detti.

Pietro. Maddalena, Giovanni,
Giuseppe, amici, il mio Gefù refpira?

O pur fra i fuoi tiranni... Ah voi piangete!

In quel pallore, in quelle,

Che dalle ftanche ciglia

Tarde lagrime efprime il lungo affanno,

Veggo tutto il mio danno,

Leggo l'orror di questo di tremendo.

Ah tacete, tacete; intendo, intendo.

Madd.

Vorrei dirti il mio dolore

Ma dal labbro i mefti accenti
Mi ritornano ful core

Più dolenti a rifonar.

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