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Apostolozeno

CORO de' fratelli di Giuseppe.

IL petto laceri
La chioma fquallidi,
Dal ciglio lagrime,
Dal petto gemiti
Mandiamo a te.
Al padre mifero

Recar la flebile
Novella barbara,
No, che poffibile
A noi non è.
Ma intanto a struggerlo
Va fame orribile;
E nuore fcorgefi,
E figli teneri
Languir al pie'.

GIUSEPPE.

Che! Non partiste? Qual ardir? Qual spené?

GIUDA.

Signor, benchè la voce

A noi ftrozzin ful labbro angofcia, e tema;
Pure al mio dir fofpendi

Tuo grave fdegno, e mie preghiere intendi.
Quando da dura aftretto

Neceffità, fveller lafcioffi il padre

Dalle braccia amorofe, abi, con qual forza!
Ma tale era tua legge, il caro figlio,
Sua pupilla, e fuo fpirto, e del fecondo
Suo letto unico germe Itene, o figli,
Lagrimofo egli diffe; e vi fovvenga,
Ché della mia Rachel non mi è rimasto
Altro frutto, che quefto. Il mio Giuseppe
Parti da me; più nol rividi; e cibo
Voi mel dicefte, oimè! di belve in gorde.
Ma fe quefto, ch' io ftringo, or mi togliete.
E gli avvenga per via cafo funefto;

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Di me che fia? L'alma angofciofa, e trifta,
Del carcer frale n'ufcirà gemendo.
Signor, tu padre avefti, o l'hai fors'anco.
Deh, per quanto ami il tuo, pietà del roftro
Beniamin gli rendi,

Alma dell' alma fua. Che fe pur voi
Punire il non fuo falle, in me il punifci.

Io terrò quì fue veci. A regger ceppi
Tenero ancora è l'altro,

Anni, e fatiche

Me fer robufto. Io pefi, io ferri, io poffo,
Poffo tutto foffrir; ma al padre mio
Effer nunzio di morte, ah, non pofs' io.
DI Giuseppe al crudo fato
Tramorti lo fconfolato:
Moria ancor; nè il tenue in vita,
Che l'amor del piccol figlio.
Or fe quefto a lui vien meno,
Per dolor mancargli in feno
Vedrem l'alma, e in un fofpiro
Da noi torfi eterno efiglio.

GIUSEPPE.

Più non refifto. A me il garzone, o Ramfe,
Lungi, o cuftodi, o fervi.

"

Omai credo finceri i voftri pianti.
Sorgete. E tu pur vieni, o mio diletto.
Foffe quì ancor Giacobbe! Io fon il vostro
Mal perduto fratello. Io fon Giuseppe.

Giuseppe!

BENIAMINO.

RUBEN.

Oh ciel!

SIMEONE.

Apostolozeno

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Il colmo a' miei contenti.
Son quefti i miei fratelli:
E quefta è la mia fpofa.
Tutti al noftro buon Re.
Grazie diamo all' Eterno,
Ogni gioja, ogni pace, ed ogni bene.

Andiamo, andiamo
Ma pria quì umili
onde ne viene

TUTTI.

Grazie diamo all' Eterno, onde ne viene
Ogni gioja, ogni pace, ed ogni bene.

CORO.

Dio falva l'innocenza. Egli l'efalta,
E l'empietà confonde; e fa fovente,
Che il furor della colpa

Sia falute, e fia gloria all' innocente.
O bella, o grata a Dio fanta innocenza!
Tu certa un giorno di goder farai;
Ma colpa in fuo piacer non gode mai.

Apostolozeno

3appi.

3 app i.

Unter seinen Ge

S. B. II. S. 27. B. V. S. 23. dichten findet man einige für die Musik bestimmte Stücke. Das långfte derselben ist eine Ekloge, mit kleinen Kantaten untermischt, welche zum Theil den Zappi, zum Theil den Abbate Giuseppe Paalucci zum Verfasser hat. Folgende zwei kleinere Singegedichte haben ungemein viel Reis in der Idee und Sprache.

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A dir così:

Il tuo fedel amante

Brami faper dov'è?

Intorno a quelle piante,

Ch' hanno il tuo nome incifo,

Volge foletto il piè.

Or dov' egli s'aggira,

Dove per te fofpira,
Tu vanne, o Paftorella,
Vanne col vago vifo

A far più vago il dì.

Mà già Silvia qui giunge;

Veggio il bianco Agnellin, che per ufanza

E la precorre, e danza:

Ecco lo sfavillar de' fuoi begli occhi,

Ecco le violette

Muoverfi fra l'erbette,

Pregando, che il bel piè le préma, e tocchi.
Sil. Sei qui, Dalifo amato?

Ió ti cercai per tutto, al bofco, al prato.
Dal. Mà chi ti diffe poi,

Almo mio Sol, mia Diva,

Che

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