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l'impeto di Giulio, ordinava pel prossimo giorno la zuffa contro i Geremei, ne vaticinava la sconfitta, annunziava salute, e rinnovando con fieri ululati le imprecazioni e gli scongiuri, si discioglieva il nefando consesso.

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SII. Intorno alla credenza [ne' maghi nel secolo XIII, alla loro amicizia coi grandi, alle persecuzioni loro fatte, ved. Murat. Annali di quel secolo, e nella raccolta Rerum Ital., le storie degli Eccellini e del Frate da Vicenza che ne fe' abbruciare intorno a trenta, e la vita di Bonato presso Tiraboschi e Bayle.

§ VIII. Tale ne parve, fino dal 1824 quando stendevamo questo capitolo, l'origine de' Scarani, o satelliti de' feudatarii, detti poi Scherani, de' quali parlano nelle loro cronache l'Azzario ed il Morena. Nel secolo XVII rimesso in vigore il feudalismo, ritorno l'uso di questi manigoldi, che allora si chiamavano bravi, e specialmente in Lombardia buli. Abbiam detto che stendevamo questo capitolo fino dal 1824 perchè non si creda quest' idea ne venisse suggerita da un romanzo rinomato uscito in questi anni, come in altre cose in cui pare ci incontrammo con quel libro: lungi le mille miglia da' grandi ingegni che veneriamo, nou pensammo però mai a copiarli. Se alcuno non ci presta credenza, ne basta la testimonianza de' nostri amici che lessero questa cronaca compiuta fino del 1825.

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§ XV. Tutti i riti qui esposti sono desunti dai libri di stre goneria, e in ispecie dall' opera de Philosophia oculta di Cornelio Agrippa, che è il Condillac della filosofia cabalistica.

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§ XIX. La verga formavasi colle cerimonie qui esposte, le op. cit. Le parole che vi si scrivevano sopra quasi sempre in greco erano: dal lato più grosso Agla, in mezzo On, dal lato più sottile tetragamaton.

§ XXI. Nelle opere citate, e anche nell' Enciclopedia, è descritto il modo con cui i maghi faceano le profezie, invocavano gli spiriti, quali incensi bisognasse dare a ciascuno d' essi, quali imprecazioni ușare, che erano tre, crescendo sempre di forza.

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FILOLOGIA. ON

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È freschissima la disputa insorta sopra alcune opinioni concernenti la Eloquenza Sacra. Chi è al fatto di questa disputa vedrà se si possa applicare ad essa il seguente articolo, la cui lettura, crediamo, non riuscirà discara alle colte persone. E tratto dall'Opera del conte Giovanni Ferri di San-Costante stampata in Milano nel 1822 in quattro volumi in 8.0, la quale porta per titolo Lo Spettatore Italiano.

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Cagione inesausta di errori si è l' abuso delle parole: perciocchè non v' ha errore il quale, se fosse chiaramente esposto, non si estinguesse da sè (GENOVESI).

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Dal male usar le parole nascono errori, dissensioni e miserie senza fine; il che spesse volte procede da imperfezion d' idioma, il quale non ha segni chiari e precisi da distinguer bene i pensieri e spesse volte anche procede da non vero sapere che vuole manifestar la realtà delle cose per termini privi di senso. Ma quest' abuso o da ignoranza o da false dottrine ingenerato è per avventura più raro, e, quel ch' è più, meno funesto di quello che da malignità, da interesse e da ambizione proviene. E quanti vocaboli a procacciar odio alle fazioni, alle sette ed alle opinioni non si sono ritrovati? i quali dati a coloro che a perseguitar si prendevano, hanno continuati i rancori, concitate le vendette, ed acceso per sino il fuoco delle guerre più micidiali. Di simil fatta sono i nomi dei Guelfi e dei Ghibellini, dei Molinisti e dei Giansenisti, degli Aristocratici e dei Democratici. E siccome gli uomini poco usano la ragione, e si lasciano trarre alla prima impressione d' un nome odioso, è bastato applicarlo ad una cosa, perchè senza altra considerazione fusse quella dai più abborrita.

Non credo ci sia vocabolo più nocevolmente adoperato che quello di libertà, nè che abbia mai fatto maggiori illusioni. Il popolo d' Atene, così rigido custode della sua libertà, se si vuole guardare addentro, è stato schiavo d' un piccolo numero d'ambiziosi chiamati demagoghi che si facean gioco del popolo sovrano; e non ha meno esempi di tirannide la storia ateniese, che qualunque altra dispotica monarchia. Il

popolo romano si lasciò parimenti ingannare a questa voce e si credette di ritener la libertà, quando negò a Cesare il nome di re, e gli concedette la signoria sotto il nome d' imperadore.

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Non men orribile abuso si è fatto della parola uguaglianza; per cui non si son gli uomini già limitati a dir che ciascuno ha egual ragione alla proprietà de' suoi beni ed al patrocinio delle leggi; ma sono andati oltre, dicendo che dovean esser tutti eguali negli officii, come se il fossero pur nell' ingegno; e volevano eguaglianza anche negli averi quasi fosse questa possibile. I seguaci di questo partito si possono assomigliare a quel tiranno il quale, per via d' acerbissimo tormento, pareggiava ad una misura tutte le persone.

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Grande strazio ancora s'è fatto della parola onore il quale alla prima non in altro è stato creduto consistere che nella virtù, e l' uomo d' onore non aver distinzione dall' uomo dabbene. Or vedete uso che di questa voce s'è fatto! Debiti d'onore si son detti quelli che al giuoco si fanno; e purchè si sieno pagati, si è tenuto uomo d' onore chi ha defraudati gli operai della mercede. Così si è chiamato punto d'onore una sconcia presunzione, un falso sentimento, pel quale l'uomo, per poco che si creda leso, si fa lecito d'ammazzare l'amico senza credere che n' abbia danno la fama d'onore. Clitone è un servil cortigiano, seconda “i più neri partiti, distorna le più buone imprese, si adopera in tutti i maneggi ma intanto splende nel mondo, tiene desco imbandito, e muta arredi di mese in mese egli è uomo d' onore; almeno se'l crede e bene ode dirselo all' orecchio. L'uomo onesto non è diverso dall' uomo d' onore; e dice La Bruyere: Chiaro s'intende che la persona dabbene è un' onesta persona: ma vaga cosa è a pensare come non ogni onesta persona sia dabbene; perciocchè onesto è quello che non assassina per le vie pubbliche, non ammazza e non ha vizi che turbino la società. Lo sciaurato Fuiello da necessità costretto, in una parte la più remota della città, rapi o domandò la borsa ad uno che passava costui è un disonesto uomo; il car. fice l'ha provato. Scuromanno, uomo avventuroso nel broglio, arricchito a spese e danno dello Stato, abita un superbo palagio, ed ha ussero, livree e tenute; egli gode della pubblica miseria, avendo edificata la sua casa su la ruina di cinquecento famiglie: nondimeno N. Ricogl An. VI.

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egli è un' onest' uomo, poichè egli è ricco e che vive ancora. Buona pezza è che si dice esser usato il nome d'amico, e raro il sentimento; e quando Aristotele disse: Amici, non ci sono più amici, volle dare ad intendere che questa parola era passata in abuso. Alcuni conoscenti, persone cioè che in realtà tra loro non si conoscono, si chiamano amici. Alcuni vincoli, inclinazioni cioè passeggere da cui niuna parte resta vincolata, si chiamano amicizie. Per questo vituperevole abuso di parole si dà il nome di amici a certi che sono tra loro conformi o in alcun capriccio, o in alcun momentaneo interesse o anche in alcun vizio che li nella consuetudine di spesso vedersi. Se per molto tempo hanno usato in una casa ed in una brigata che vi si rauna a, prendono il nome d' amici familiari. Questi pretesi amici, ap. pagati di un mutuo riguardo in apparenza, non solamente non si portano alcun amor sincero, ma spesso sono i primi a sparlar dell' amico, a divulgarne i difetti e a dileggiarlo presso la gente.

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Una parola ancora quasi in tutti i linguaggi accompagna quella dell' amicizia, come un' espressione di cordiale intrinsechezza, e questa si è il tu, di che fassi oggidì grande abuso. Non è da dir male di quelli che insieme vissero nella fanciullezza, se l'usano; e quest' uso li fa scusati, se poi un nome adoperato soltanto per vecchio costume non fosse più segno di cordialità. Anco se accade che l'adoprino due vecchi, nasce in noi pensier di amorevolezza, e ci piace veder quei due che, malgrado il processo di tant' anni si rispondono ancora con quella buona armonia che fece la Joro delizia nell' età giovanile. Il tu non è peravventura didiscevole in bocca de' fanciulli che ricorrono ai genitori, perchè questa allora pare una favella dettata dalla natura; ma non dee però stare che nella prima fanciullezza. E non si dee troppo indugiare a far loro comprendere che questa sorta d'affetto che devesi agli autori de' nostri giorni, seco porta unito il rispetto ed una maniera di culto che da' nostri maggiori è stata ottimamente detta pietà filiale. Un padre per modo d' indulgenza può venire a questa libertà di parlare; ma io avviso che non si convenga andar più oltre. E se ce ne serviamo quando si volge il ragionamento all' Onnipotente, interviene perchè il modo meno usato ad espri merci è quello che si dee adoperare verso l'Ente che trascende le nostre fisiche ed intellettuali potenze. Forse poi dall' ampliazione di questo modo è surta l'usanza di libera

mente indirizzare il sermone a nobili e ragguardevoli personaggi.

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Il tu nel nostro conversare sente del ruvido, che all' amore ed alla tenerezza s' appartiene rammorbidire, per cui egli sta bene solamente tra gl'innamorati e gli sposi. Qual è colui che profferendolo la prima volta verso una donna non s' avvisi di esercitare un atto possessorio ? e qual è colui che udendolo dalla bocca di lei verso di sè profferire, non lo accetti come un ivito ai più teneri sentimenti? Ma con tutto che egli sia un vocabolo stabilito a significare benivolenza ed amore fra due anime bene unite, pure è adoperato talvolta a mostrare dispregio; e m' incresce di ascoltar continuamente padroni che n' assordano le orecchie de' famigli; laddove un ben inteso orgoglio li dovria muovere ad aver riguardo a coloro che la sorte ha posto sotto la loro dependenza; e l'affettazione di umiliar chi ci serve, è un dubitare non quelli abbiano a tenerci superiori che per padronanza.

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Cetra, che a molli numeri ·
Ami temprar le corde
Senti com' or più fervida
L'aura Febéa le morde
Onde i carmi sien degni

Di chi la via dischiusemi

Dell'orme impressa de' più chiari ingegni (1).

O sia che per l'occidue

Piagge voli il pensiero
Ove primo resistere
E solo ardi l'Ibero
Di Francia alle temute
Armi, per cui dimentiche

Le genti si giacean di lor virtute;

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